FONTE: Federprivacy – Intervento del 2 aprile 2022 del Prof. Francesco Pizzetti (Professore ordinario di diritto costituzionale a Torino e docente alla Luiss. Presidente Autorita’ Garante per la protezione dei dati personali dal 18 aprile 2005 al 17 giugno 2012)
Una delle conseguenze ancora meno evidenti dell’esperienza pandemica è l’idea, che sembra vada diffondendosi in alcuni comuni italiani, di offrire ai cittadini di scaricare app, predisposte dal Comune stesso o in house o avvelandosi di servizi di terzi, che consentano di registrare, anche col consenso esplicito del cittadino, i comportamenti di ciascuno con riferimento al rispetto delle prescrizioni comunali. Di tale registrazione resta traccia sullo smartphone o sul computer che ospita la applicazione e la relativa verifica, tramite modalità assai simili a quelle usate per il controllo del possesso e della validità del green pass.
Non mancano però Assessori e Comuni che pensano, e dicono, di voler costruire con i dati così raccolti e gli altri già in loro possesso, dei veri e propri “gemelli digitali” dei singoli cittadini che accettano di usare queste app, con la conseguenza di costruire una replica digitale la più completa possibile della persona di volta in volta interessata, dei suoi comportamenti e delle sue caratteristiche.
Per ora di questa tendenza che si diffonde in molti comuni parlano prevalentemente i giornali locali ma le notizie si moltiplicano e riguardano ormai anche città importanti, quali ad esempio Bologna secondo una iniziativa assunta dall’assessore Massimo Bugani, della quale egli stesso parla ampiamente in una recente trasmissione di “Bologna in diretta”.
Secondo quanto dice l’assessore, l’obiettivo è quello di assicurare un riconoscimento ai cittadini che differenziano i rifiuti, usino mezzi pubblici, gestiscano correttamente l’energia, non ricevano sanzioni municipali e risultino usare in modo attivo la “Card cultura”.
Per ognuna di queste voci è previsto un punteggio che resterà registrato dall’app e darà luogo a un “punteggio sociale” sulla base del quale il titolare della app sarà qualificato come più o meno rispettoso del “vivere civile”. Sulla base di questo punteggio il titolare della app potrà avere sconti per una serie di attività o servizi forniti in ambito municipale e per attività culturali.
L’assessore sottolinea che la adesione alla iniziativa sarà volontaria e avverrà tramite lo scarico e l’utilizzazione della app. In sostanza l’Assessore Bugani intende in questo modo applicare a Bologna una iniziativa che egli stesso aveva già promosso a Roma durante l’amministrazione Raggi, senza tuttavia portarla a conclusione.
L’iniziativa di Bologna non è la sola in atto. Iniziative simili sembrano anche essere in corso di preparazione in altri centri emiliano-romagnoli.
Ovviamente si tratta di iniziative che stanno suscitando consensi da parte dei più interessati allo sviluppo della società digitale ma non minori resistenze e perplessità da parte di molti altri cittadini e, soprattutto, di molti cultori della protezione dei dati personali, a dimostrazione che la Digital Age amplia molto l’importanza della tutela dei dati e, in particolare, di quelli personali.
La prima e più evidente perplessità riguarda infatti proprio la tutela dei dati personali raccolti e le modalità con le quali sarebbero disciplinati gli accessi e coloro che hanno diritto di accedere ad essi.
È ovvio che si tratta di questioni estremamente importanti, tanto più in epoca di diffusione continua di attacchi hacker alle banche dati pubbliche e private. Inoltre centrali restano i temi legati a chi potrà accedere a questi dati, per quali finalità e come saranno registrati gli accessi che verranno fatti.
Non vi è dubbio che se idee di questo tipo dovessero andare avanti sarebbe necessario provvedere anche alla stesura di regolamenti specifici e di misure tecniche di protezione adeguate.
Così come è ovvio che se questa strada dovesse essere percorsa davvero da un numero crescente di amministrazioni comunali sarebbe quanto mai opportuno che il Ministero dell’Interno, l’Anci e la Conferenza Stato-città fossero fin da ora coinvolti, ovviamente, insieme al garante della protezione dei dati personali che dovrebbe essere sentito anche come soggetto principale prima dell’avvio di qualunque sistema di tracciamento e di raccolta di queste tipologie di dati, stante la loro ovvia delicatezza e sensibilità.
La specifica sensibilità di questi dati sarebbe infatti certamente molto accresciuta anche dal fatto che, per la concezione stessa di queste app e il loro ambito di applicazione, i dati raccolti riguarderebbero inevitabilmente un numero relativamente ridotto di persone e che i dati relativi alla localizzazione dei comportamenti tenuti avrebbero nella maggior parte dei casi un rilievo centrale.
È ovvio che l’uso di una app finalizzata a premiare i comportamenti virtuosi dovrebbe essere tarata in modo che i premi corrispondano non a una valutazione “etica” dei comportamenti ma a una valutazione “economica” dei minori costi sopportati dall’erogatore pubblico per fornire il servizio complessivo a tutta la collettività. Una china scivolosa, insomma, che sembra si stia intraprendendo in modo troppo ingenuamente entusiastico del mondo digitale e delle opportunità che può offrire.
Il punto centrale però è, e resta, la necessità di una attenta valutazione dei diversi diritti e interessi in gioco. Non vi è dubbio, infatti, che tutto il sistema è costruito nella prospettiva di considerare la privacy come un bene con un valore monetario più che come un diritto inviolabile, quale esso è nella carta dei diritti europea.
Solo nella prospettiva di un valore monetario della privacy si può accettare che un cittadino possa essere indotto a rinunciarvi in vista di un “premio” per tale rinuncia e per i comportamenti tenuto nel rispettare le norma in vigore. In caso contrario, se cioè si mantiene fermo che la privacy è innanzitutto un diritto fondamentale del cittadino, comprimibile solo in base alla legge o per finalità giuridicamente vincolanti per legge, è evidente che ci troviamo di fronte a una pericolosa deriva che può portarci con grande velocità sulla via della società del controllo e del punteggio sociale. Proprio ciò che, come sappiamo, la cultura europea rigetta e che costituisce il fondamento più profondo della concezione della privacy come diritto fondamentale dei cittadini europei.
È bene dunque sollevare subito un allarme forte e ampio per questa tendenza, che dimostra in concreto anche che il digitale è un nuovo mondo pieno di tentazioni.
Da un lato nel mondo digitale è difficilissimo resistere alla tentazione di rinunciare al libero arbitrio in cambio dell’affidamento a sistemi di intelligenza artificiale di scelte essenziali che possono incidere anche sui nostri destini, nella convinzione che le intelligenze artificiali sappiano fare scelte migliori e più utili per gli utenti. Da un altro lato però il mondo digitale è, almeno in questa fase, anche simile a un grande luna park nel quale si aggirano sperduti, storditi dai suoni e dalle luci, tanti Pinocchi e Lucignoli pronti a essere facili prede di nuovi “Gatti e Volpi” costituiti dai fornitori dei servizi digitali o dai tenaci appassionati dei trattamenti dei dati e dalle potenzialità che questi offrono.
Per fortuna l’Europa ha saputo negli anni costruire robuste autorità di tutela dei dati personali, dotate di personale tecnico molto preparato e esperto. Abbiamo dunque guardiani migliori e più efficienti dei gendarmi di Pinocchio, molto attraenti nelle loro alte uniformi ma non sempre capaci di prevenire le astuzie del Gatto e della Volpe.
A Pinocchio non bastò nemmeno la fatina azzurra, troppo tardi invocata: a noi bastano certamente le autorità nazionali ed europee di protezione dati.