IL DISINTERESSE CONTINUO VERSO MOGLIE E FIGLI E’ MALTRATTAMENTO

La Corte di Cassazione (sent. 25 novembre 2021, n. 43570) ha recentemente affrontato un caso di maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie, anche in presenza dei figli minori, per oltre un ventennio.

Secondo quanto stabilito nella sentenza della Corte di Appello di Firenze, che si era pronunciata in secondo grado, tali condotte si sarebbero concretizzate sia attraverso degli episodi di insulti, minacce e “sopraffazioni fisiche e psicologiche”, sia attraverso un costante disinteresse e un’evidente incuria verso i più basilari bisogni affettivi ed esistenziali della moglie e delle necessità dei figli.

Proprio con riferimento a quest’ultimo profilo, il ricorrente sosteneva come non fosse configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi) in quanto, i suoi comportamenti, avrebbero potuto, a suo avviso, integrare “solo” il reato di cui all’art. 570 c.p. (violazioni degli obblighi di assistenza familiare).

La Suprema Corte ha invece ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti preso atto della persistente condotta di incuria dell’imputato, sia in ragione della frequenza e reiterazione nel corso degli anni, sia in quanto questa incuria è significativa del disinteresse verso i bisogni affettivi ed esistenziali della moglie e dell’assoluta assenza di apporto negli obblighi di cura di quest’ultima e dei figli.

Il racconto della donna è articolato e preciso: vent’anni di ingiurie e sopraffazioni, fisiche e psicologiche, alle quali  è stata
sottoposta durante tutta la durata del matrimonio. L’imputato, a fronte delle richieste di collaborare nella gestione dei figli, come ad esempio andare a prenderli a scuola o prendersi cura di loro, mentre la moglie era a lavoro, si è sempre mostrato indifferente ed incapace di assicurare alla coniuge un apporto valido; le aveva
imposto, nel corso degli anni, rapporti sessuali e, più recentemente e in più occasioni, l’aveva aggredita fisicamente, mentre epiteti di ogni genere e rimproveri per come si occupava della casa e dei figli le erano costantemente rivolti;
analogo comportamento il marito aveva tenuto, in più occasioni, nei confronti del figlio maggiore della coppia- nato nel 2001. 

“Si tratta di
comportamenti – che l’imputato ha ammesso giustificandoli con un carattere irascibile – che hanno
cagionato alla persona offesa uno stato di timore, e di vero e proprio assoggettamento al marito perché,
come sottolineato nella sentenza impugnata, la donna si era autoimposta la scelta di non reagire, al fine di non correre il rischio della possibile reazione violenta dell’imputato, il che sostanzia un ulteriore aspetto di sopraffazione idoneo ad integrare l’elemento oggettivo del reato configurando un vero e proprio sistema di vita mortificante e vessatorio.

L’avv. Michela Guerra aderisce all’ODV Linea Rosa di cui è parte del Consiglio Direttivo. L’Associazione è attiva da 30 anni nei territori di Ravenna, Russi, Cervia nell’azione di contrasto alla violenza contro le donne.

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