Diritto di cronaca o diritto all’oblio?

In materia di diritto all’oblio tra luglio e settembre 2019 abbiamo potuto riscontrare diverse pronunce interessanti relative al contemperamento tra il diritto di cronaca e informazione e il diritto all’oblio di cui all’art. 17 del GDPR che garantisce all’interessato la facoltà di chiedere la cancellazione dei propri dati qualora sia trascorso un certo tempo dalla ragione della loro diffusione. Nello specifico dei casi che vedremo, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite e il Garante della Privacy si sono pronunciati, nel primo caso avverso la ripubblicazione di una vecchia notizia da parte di un quotidiano e nel secondo caso imponendo la deindicizzazione della notizia da parte dei motori di ricerca. La pronuncia della Suprema Corte (19681/2019) è relativa alla controversia suscitata dalla pubblicazione, da parte di un quotidiano a carattere locale, di un articolo dove si rievocava l’omicidio nei confronti della moglie da parte di un piccolo artigiano avvenuto 27 anni prima. L’uomo, scontata la pena, aveva con fatica ripreso una vita normale riavviando la propria attività, quando proprio la pubblicazione dell’articolo gli aveva fatto perdere tutta la clientela lasciandolo in gravissime difficoltà economiche . La Cassazione, accogliendo il suo ricorso, aveva ribaltato la decisione emersa dai due precedenti gradi di giudizio che erano stati contrari all’artigiano, osservando come il giornalista che scriva su casi giudiziari vecchi di decenni, non stia «esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti»: attività che non rientra nell’esercizio di cronaca. Tale rievocazione, quando non riguardi personaggi che hanno rivestito o rivestono tuttora un ruolo pubblico, deve svolgersi in forma anonima, dal momento che può affermarsi che “nessuna particolare utilità può trarre chi fruisce di quell’informazione dalla circostanza che siano individuati in modo preciso coloro i quali tali atti hanno compiuto”.

Oggetto del provvedimento del Garante n. 153, del 24 luglio 2019 è stata invece la deindicizzazione dei dati giudiziari non più attuali. E’ il caso di un imprenditore che, in seguito alla condanna secondo il rito del patteggiamento, aveva, una volta scontata la sua pena, ottenuta la riabilitazione, istituto che, «pur non estinguendo il reato, comporta il venir meno delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna» Nel 2019, l’imprenditore aveva presentato istanza a Google per la rimozione dei link che associavano il suo nome alla notizia della sua condanna. Google aveva respinto la richiesta, preso atto del poco tempo trascorso e delle gravi fattispecie criminose all’origine della condanna. Il Garante ha invece dato ragione all’imprenditore: “la riabilitazione, unitamente al lasso di tempo decorso dal verificarsi dei fatti, implica che l’ulteriore trattamento dei dati dell’interessato (…) determina un impatto sproporzionato sui diritti del medesimo che non risulta bilanciato da un attuale interesse del pubblico a conoscere della relativa vicenda.”

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