La Corte di Cassazione, con l’ordinanza emessa il 12 maggio 2023, numero 13121, ha confermato un principio consolidato che riguarda la separazione coniugale. Secondo tale principio, se una delle parti richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge a causa dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, ha l’onere di provare la condotta relativa e dimostrarne l’effetto causale nel rendere insopportabile la continuazione della convivenza. D’altra parte, spetta a chi contesta l’effetto dei fatti su cui si basa la richiesta di addebito dimostrare le circostanze che sostengono l’eccezione, ovvero l’antecedente crisi coniugale rispetto all’infedeltà accertata.
Nel caso specifico, la Corte Suprema ha ritenuto legittima la decisione dei giudici di merito che hanno utilizzato le foto delle conversazioni su WhatsApp, senza il consenso della parte interessata, per far valere il diritto del marito di addebitare la separazione alla moglie. Tale decisione si basa sull’articolo 24, comma 1, lettera f) del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 (Legge sulla Privacy), il quale dispone che il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto quando sia necessario per svolgere investigazioni difensive previste dalla legge n. 397 del 2000 o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.
Nel caso in questione, il signor P.D. aveva presentato un’appello contro la sentenza del Tribunale di primo grado che aveva respinto la sua richiesta di addebito della separazione nei confronti della moglie, imponendogli l’intero mantenimento dei figli e un contributo di 900,00 euro mensili per il sostentamento della moglie. Nel ricorso, l’appellante contestava l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui non aveva dimostrato il nesso causale tra l’infedeltà della moglie e la crisi coniugale.
Con il primo motivo di appello, l’uomo contestava il rigetto della richiesta di addebito, sostenendo che le conversazioni trovate sul telefono della moglie erano state erroneamente considerate inutilizzabili. Inoltre, sottolineava che la moglie non contestava l’infedeltà, ma soltanto l’effetto causale rispetto alla crisi coniugale.
La Corte d’appello aveva ribaltato la decisione di primo grado, accogliendo la richiesta di addebito e dichiarando la separazione a carico della moglie. La Corte d’appello sottolineava che non vi era stata violazione del diritto alla privacy, in quanto l’utilizzo delle foto delle conversazioni su WhatsApp era stato effettuato esclusivamente per far valere il diritto del sig. P.D. nel procedimento di separazione. Inoltre, osservava che non vi era prova della circostanza dedotta secondo cui la coppia non aveva avuto contatti fisici da oltre 10 anni e che da due anni dormiva in camere separate, in seguito a un accordo tacito di non interferenza nella sfera privata reciproca.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’appello, respingendo il ricorso presentato dalla moglie. La decisione della Suprema Corte, ha ribadito un principio consolidato nel campo delle separazioni coniuga la parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge, a causa della mancata osservanza dell’obbligo di fedeltà, ha l’onere di dimostrare la condotta correlata e la sua efficacia causale nel rendere insostenibile la convivenza. Al contrario, chi contesta l’inefficacia dei fatti alla base della richiesta, ovvero l’infedeltà, ha l’onere di provare le circostanze su cui si basa l’eccezione, come l’esistenza di una crisi matrimoniale precedente all’infedeltà accertata.