Il Perché del No al referendum sull’omicidio del consenziente da parte della Corte Costituzionale

Secondo la Corte costituzionale, sentenza 2 marzo 2022, n. 50, l’eventuale l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. (Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, e’ punito con la reclusione da sei a quindici anni), rendendo lecito l’omicidio di chiunque abbia prestato un valido consenso, priverebbe la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione.

Il reato di omicidio del consenziente è punito a titolo di dolo generico, con la volontà e la coscienza di portare alla morte di una persona con la consapevolezza dell’esistenza del consenso. La pena prevista per tale fattispecie di reato è quella della reclusione da sei a quindici anni.

L’intervento referendario intendeva intervenire sull’eutanasia c.d. attiva, con le forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, rimanendo punita solo se il fatto fosse stato commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso fosse stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.

Al di là dei propositi dei promotori, “ciò che conta è la domanda abrogativa, che va valutata nella sua portata oggettiva e nei suoi effetti diretti, per esaminare, tra l’altro, se essa abbia un contenuto non consentito perché in contrasto con la Costituzione” (Corte cost. sentenza n. 17/1997): situazione che la Corte ha ravvisato nel caso in esame, perché il quesito attingerebbe a un “valore che si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”, ossia il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost.

La Corte ha evidenziato come “vietando ai terzi di farsi esecutori delle altrui richieste di morte, pur validamente espresse, l’incriminazione dell’omicidio del consenziente assolve (…) allo scopo, di perdurante attualità, di proteggere il diritto alla vita” in particolare “delle persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate”.

Di conseguenza, “discipline come quella dell’art. 579 c.p., poste a tutela della vita, non possono (…) essere puramente e semplicemente abrogate, facendo così venir meno le istanze di protezione di quest’ultima a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale”.

La norma può certamente essere oggetto di modifica o sostituzione dal legislatore, ma la disciplina attualmente prevista dall’art. 579 non può essere puramente e semplicemente abrogata, “perché – ed è questa la ratio decidendi – non verrebbe in tal modo preservato il livello minimo di tutela richiesto dai referenti costituzionali ai quali esse si saldano”.

In caso di vittoria del sì, ha ribadito la Corte, le situazioni che rimarrebbero perseguibili sarebbero quei “ casi in cui il consenso è viziato in modo conclamato per le modalità con le quali è ottenuto, oppure intrinsecamente invalido per la menomata capacità di chi lo presta”, mentre rimarrebbero escluse – e quindi non perseguibili – le situazioni in cui la motivazione è dovuta a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici), e le scelte non adeguatamente ponderate.

“Deve quindi concludersi – chiude la Corte – per la natura costituzionalmente necessaria della normativa oggetto del quesito, che, per tale motivo, è sottratta all’abrogazione referendaria, con conseguente inammissibilità del quesito stesso”.

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