Nel pieno del dramma COVID-19 è di questi giorni la notizia dell’apertura di una prima inchiesta della Procura a seguito del decesso di un settantacinquenne in Provincia di Foggia, alle cui esequie il medico della struttura sanitaria avrebbe acconsentito prima di conoscere l’esito del tampone, poi risultato positivo, del Coronavirus. Il rilascio affrettato della salma sarebbe alla base di un possibile nuovo “cluster epidemico” che avrebbe messo a rischio l’incolumità pubblica con il possibile contagio decine di persone. Il tema della responsabilità da contagio di medici e strutture, se in queste ore è, fortunatamente e comprensibilmente un tabù, secondo il parere di chi scrive, sarà argomento di riflessione in futuro per giuristi e addetti ai lavori. In materia di responsabilità penale, la Corte di Cassazione, in una recente pronuncia (n. 9133 del 2018) , partendo dalla lettera dell’art. 438 c.p. (EPIDEMIA) che recita:” Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”, ha precisato che il perfezionarsi del reato richiede una condotta commissiva, attiva nel procurare il danno “mediante la diffusione di agenti patogeni” e ha così escluso l’applicabilità dell’art.40, comma 2 c.p. (la responsabilità per omesso impedimento di un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire risulterebbe quindi incompatibile con la natura giuridica del reato di epidemia).
Alla luce delle considerazioni dell’attuale giurisprudenza quindi, il riconoscimento della responsabilità penale del medico in questa condotta, potrà emergere in relazione ad altre ipotesi di reato contro la vita o l’incolumità individuale con tutte le difficoltà relative all’impossibilità di accertamento del nesso di causalità tra il comportamento attivo e i singoli episodi di contaminazione cui conseguano danni alla salute. Non si può escludere che in futuro la giurisprudenza sotto pressione, attraverso un’interpretazione estensiva della condotta di “diffusione”, possa riconoscere il perfezionarsi del reato di epidemia anche attraverso condotte di tipo omissivo.
Intanto in queste ore Aiop, Aris, Fiaso e Federsanità, si muovono d’anticipo e firmano congiuntamente una richiesta, inviata al Ministro della salute Speranza e al Ministro della Giustizia Bonafede. I rappresentanti delle strutture sanitarie pubbliche e private chiedono all’Esecutivo che si prenda atto dell’esigenza di un intervento normativo che assicuri che la colpa professionale del medico in sede penale e civile ( legge Gelli 24/2017) sia valutata tenendo conto delle qualifiche e specializzazioni proprie dal professionista, nonché dal grado di difficoltà e urgenza, che sta caratterizzando pesante lavoro di cui si sono fatti carico, in questo periodo, gli operatori e le strutture sanitarie. Nel caso che siano avviate indagini per accertare se la responsabilità di taluni decessi o la propagazione di taluni focolai sia addebitabile a strutture o professionisti sanitari, che abbiano trattato o sono venuti a contatto, a diverso titolo, con pazienti colpiti dal contagio, le associazioni di categoria chiedono che la valutazione dei contenziosi derivanti dall’attività sanitaria, svolta in piena emergenza per far fronte all’epidemia, non sia demandata all’autorità giudiziaria, in assenza di un chiaro indirizzo normativo. La preoccupazione è legittima. In queste ore stanno entrando nel sistema delle cure, in stato di emergenza organizzativa, migliaia professionisti sanitari neo laureati e privi di esperienza, alcuni ospedali e cliniche sono oberati oltre il sopportabile e non mancano focolai apparentemente nati dentro gli ospedali, seguiti purtroppo anche da decessi. Per entrare nel merito dello sviluppo giuridico- interpretativo della responsabilità da contagio da COVID-19 ci sarà tempo (speriamo), ma come sanno tutti coloro che, come chi scrive, hanno esperienza ventennale nel campo del contenzioso sanitario, “gli eroi” in corsia diventano un po’ meno eroi quando si torna a stare bene e si dimentica la paura della malattia.